Un autorevole ministro del governo, per provare a fotografare la solidità della candidatura al Quirinale di Mario Draghi, qualche giorno fa, parlando con un suo collega dell’esecutivo, ha sintetizzato con queste parole lo stato dell’arte: “Sulle montagne, a un certo momento, arriva un punto in cui i piccoli ruscelli incontrano un torrente, e quando i ruscelli incontrano un torrente i vari corsi d’acqua, alla fine, si rassegnano a scendere giù dalla montagna attraverso un unico canale, dal quale non usciranno più”. Le sorprese sono sempre possibili e come dimostra l’intervista di Piero Fassino al Foglio i tentativi per evitare che Draghi possa lasciare Palazzo Chigi verranno fatti fino all’ultimo secondo ma giorno dopo giorno la corrente della politica appare essere rassegnata a far confluire i ruscelli in un unico canale. E a poche ore dal primo voto per eleggere il successore di Sergio Mattarella non è difficile unire i puntini e spiegare le ragioni per cui le forze politiche non ci metteranno troppo a capire che Draghi al Quirinale può creare meno problemi di quanti ne potrebbe risolvere.
Il tema riguarda naturalmente il contesto – un mese fa, il passaggio di Draghi al Colle appariva come un elemento destabilizzante per la legislatura, oggi Draghi appare a molti come l’unico candidato in grado di non rompere l’attuale maggioranza di governo e non rompere l’attuale maggioranza è una condizione necessaria per non destabilizzare la legislatura. Ma il tema riguarda anche i singoli. E una breve carrellata ci può permettere di capire perché non c’è un solo leader politico che non guadagnerebbe qualcosa dallo spingere Draghi a premere al Quirinale il pulsante reset.
Ci guadagnerebbe qualcosa certamente Enrico Letta, il leader che in queste ore forse si è più speso per provare ad avvicinare i poli sul nome di Draghi, perché avere Draghi al Colle darebbe al segretario del Pd (a) la possibilità di poter rivendicare una centralità del suo Pd in questa partita e (b) la possibilità da parte del segretario di potersi giocare un domani le sue carte per provare ad avvicinarsi a Palazzo Chigi.
Ci guadagnerebbe qualcosa certamente Giorgia Meloni, che curiosamente pur essendo l’unico tra i leader di centrodestra a non aver mai dato la fiducia a Draghi smania dalla voglia di mandarlo al Quirinale e che con Draghi al Quirinale potrebbe cogliere due piccioni con una fava: far fare al suo partito un passo in avanti nella stagione della post impresentabilità assicurandosi di avere al Colle un garante che non gli metterebbe i bastoni in mezzo alle ruote nel caso in cui gli elettori dovessero premiare il suo partito a tal punto da spingere Meloni verso Palazzo Chigi. Ci guadagnerebbe qualcosa poi certamente anche Matteo Renzi, che sa bene che avere Draghi al Quirinale è la condizione ideale (a) per poter rivendicare il successo di un premier che Renzi un anno fa ha voluto più di tutti, (b) per avere una legislatura duratura e (c) per poter beneficiare di un nuovo equilibrio nel governo futuro nel quale potrebbe liberarsi qualche casella preziosa per il suo partito e forse anche per se stesso.
Ci guadagnerebbe qualcosa anche Silvio Berlusconi che, nonostante i suggerimenti di Gianni Letta, al momento non ne vuole sapere nulla di lanciare Mario Draghi al posto suo ma che nelle prossime ore potrebbe convincersi che non intestarsi personalmente Draghi potrebbe voler dire offrire a qualcun altro la carta del kingmaker e farsi passare così sopra la testa decisioni che potrebbero essere prese da lui. Ci guadagnerebbe qualcosa anche il M5s, e in particolare Giuseppe Conte, che sa bene di avere un movimento difficilmente controllabile ma che sa bene che un conto è far esplodere il Movimento 5 stelle su un candidato qualsiasi un altro è registrare la sua esplosione dopo aver dato il proprio voto allo stesso presidente del Consiglio a cui il M5s dà la fiducia ormai da undici mesi. E alla fine dei giochi ci guadagnerebbe qualcosa, ad avere Mario Draghi al governo, anche Matteo Salvini, che con Draghi, al netto dei retroscena, ha un rapporto ottimo e che in queste ore, in modo discreto ma deciso, sta cercando di assicurarsi che avere Draghi al Quirinale sia una garanzia per il suo futuro, anche in vista di una competizione futura con Giorgia Meloni per provare ad arrivare a Palazzo Chigi, e non la certezza che il suo commissariamento sia invece inesorabilmente avvenuto.
Draghi sa che i ruscelli che portano al Colle oggi sono molti, ma sa anche che i partiti in queste ore chiedono di avere garanzie sulla continuità del governo e una volta ottenute non sarà troppo difficile far confluire i ruscelli in un unico torrente che, anche a costo di sfidare le leggi della fisica, da Palazzo Chigi oggi porta direttamente al Quirinale.
2024-11-10 20:52:19